Movimento artistico

Si stanno aprendo gli ultimi cassetti degli anni Sessanta e ancora ne escono capolavori. Il decennio più ricco e creativo della nostra storia recente non finisce di stupire. Specialmente nel campo dell'arte.
Ci ha dato le opere dei sofisticati pittori che ruotavano attorno alla rivista Azimut: Manzoni, Castellani, Bonalumi. Ci ha dato il Pop, con Mimmo Rotella, Tano Festa, Gino Marotta. Ci ha dato i protagonisti di Fluxus, con Giuseppe Chiari in prima linea.
E ci ha dato grandi personalità «indipendenti», come Mario Schifano, Pino Pascali, Francesco Lo Savio, Giuseppe Uncini, Mario Ceroli, Paolo Scheggi, Dadamaino. Tutti artisti (quelli sopravvissuti) che stanno godendo da tempo un grande successo commerciale, il piacere della celebrità, la considerazione degli storici dell'arte.
Ma «il decennio magico» ci ha dato anche un altro fondamentale movimento, '«arte cinetica e programmata», che dopo avere vissuto momenti di gloria negli anni immediatamente successivi alla sua nascita, databile nel 1959, e dopo avere usufruito di magnifici posti in prima fila a varie edizioni della Biennale di Venezia, è caduto, per gli strani «scherzi» del mondo dell'arte, nel limbo dell'oblio, mentre le opere dei suoi protagonisti (il gruppo T a Milano e il gruppo N a Padova) sono rimaste «chiuse nei cassetti» fino alle soglie del nuovo secolo.
Ora per l'arte cinetica e programmata è giunto il momento del riscatto. Da tre anni (il segnale più precoce del recupero è venuto da una grande mostra datata 2000 alla Galleria Niccoli di Parma) in Italia e all'estero, specialmente in Germania, è tutto un brulicare di iniziative dedicate agli artisti del gruppo T e del gruppo N, in particolare ad Alberto Biasi, leader indiscusso del «cinetismo virtuale». Le sue opere hanno avuto grande spazio nella bellissima mostra «La grande svolta degli anni Sessanta», allestita nel Palazzo della Ragione di Padova, chiusasi il 19 ottobre. Dal 6 novembre Roma gli dedica una «antologica» mozzafiato nei Musei di San Salvatore in Lauro: resterà aperta sino al prossimo 13 dicembre. Una seconda antologica è stata inaugurata giovedì alla galleria Moretti di Montecarlo. In questa mostra le opere di Alberto Biasi sono affiancate a quelle di un altro grande della cinetica, Julio Le Parc.
A Roma, come a Montecarlo, è possibile ripercorrere tutta la vicenda creativa del fondatore del gruppo Enne, padovano purosangue come tutti gli artisti del movimento (Missironi, Chiggio, Landi e Costa), una storia che è riduttivo rinchiudere nell'ambito del cinetico e del programmato. lanesi del gruppo T (De Vecchi, Varisco, Boriani, Anceschi e Colombo) si animano grazie a motori, quelle del Padovano restano immobili (cinetismo virtuale) fino a che lo spostarsi dell'occhio del fruitore non crea un continuo mutamento dell'opera. Un mutamento che non si limita a dare fredde sensazioni visive, ma che «emoziona», genera sensazioni forti nello spettatore capace di abbandonarsi con la mente e col cuore.
Da linee rette e da leggi ottico matematiche nascono impulsi vitali e stimoli prepotenti che trasportano la mente dal mondo della geometria a quello della fantasia, del pensiero libero. Dalla scienza all'arte.
Si chiamano, queste opere, visioni ottico dinamiche, rilievi cinetici, torsioni, nomi freddi come i materiali che le generano, Pvc e perspex, ma quando lo sguardo dello spettatore comincia a muoversi generano il dolce calore della poesia, il soffio tiepido dell'arte. La formula diventa sentimento.
Ma, dicevamo, Alberto Biasi non è solo «op», illusione visiva. Ci sono, nella sua produzione largamente rappresentata in mostra, le monocromie del «metro quadrato di pittura nera», ci sono gli assemblaggi, ci sono numerose provocazioni (i pani dell'improbabile fornaio Giovann Zorzon, la teca con il fiato d'artista, le sculture di luce) dal sapore beffardo e contestatore.
Ci sono multipli e sculture leggeri e delicati. C'è la capacità di cambiare media e linguaggi che fa di un bravo pittore un grande artista.
(da Gazzetta di Parma del 30 novembre 2003)
Ci ha dato le opere dei sofisticati pittori che ruotavano attorno alla rivista Azimut: Manzoni, Castellani, Bonalumi. Ci ha dato il Pop, con Mimmo Rotella, Tano Festa, Gino Marotta. Ci ha dato i protagonisti di Fluxus, con Giuseppe Chiari in prima linea.
E ci ha dato grandi personalità «indipendenti», come Mario Schifano, Pino Pascali, Francesco Lo Savio, Giuseppe Uncini, Mario Ceroli, Paolo Scheggi, Dadamaino. Tutti artisti (quelli sopravvissuti) che stanno godendo da tempo un grande successo commerciale, il piacere della celebrità, la considerazione degli storici dell'arte.
Ma «il decennio magico» ci ha dato anche un altro fondamentale movimento, '«arte cinetica e programmata», che dopo avere vissuto momenti di gloria negli anni immediatamente successivi alla sua nascita, databile nel 1959, e dopo avere usufruito di magnifici posti in prima fila a varie edizioni della Biennale di Venezia, è caduto, per gli strani «scherzi» del mondo dell'arte, nel limbo dell'oblio, mentre le opere dei suoi protagonisti (il gruppo T a Milano e il gruppo N a Padova) sono rimaste «chiuse nei cassetti» fino alle soglie del nuovo secolo.
Ora per l'arte cinetica e programmata è giunto il momento del riscatto. Da tre anni (il segnale più precoce del recupero è venuto da una grande mostra datata 2000 alla Galleria Niccoli di Parma) in Italia e all'estero, specialmente in Germania, è tutto un brulicare di iniziative dedicate agli artisti del gruppo T e del gruppo N, in particolare ad Alberto Biasi, leader indiscusso del «cinetismo virtuale». Le sue opere hanno avuto grande spazio nella bellissima mostra «La grande svolta degli anni Sessanta», allestita nel Palazzo della Ragione di Padova, chiusasi il 19 ottobre. Dal 6 novembre Roma gli dedica una «antologica» mozzafiato nei Musei di San Salvatore in Lauro: resterà aperta sino al prossimo 13 dicembre. Una seconda antologica è stata inaugurata giovedì alla galleria Moretti di Montecarlo. In questa mostra le opere di Alberto Biasi sono affiancate a quelle di un altro grande della cinetica, Julio Le Parc.
A Roma, come a Montecarlo, è possibile ripercorrere tutta la vicenda creativa del fondatore del gruppo Enne, padovano purosangue come tutti gli artisti del movimento (Missironi, Chiggio, Landi e Costa), una storia che è riduttivo rinchiudere nell'ambito del cinetico e del programmato. lanesi del gruppo T (De Vecchi, Varisco, Boriani, Anceschi e Colombo) si animano grazie a motori, quelle del Padovano restano immobili (cinetismo virtuale) fino a che lo spostarsi dell'occhio del fruitore non crea un continuo mutamento dell'opera. Un mutamento che non si limita a dare fredde sensazioni visive, ma che «emoziona», genera sensazioni forti nello spettatore capace di abbandonarsi con la mente e col cuore.
Da linee rette e da leggi ottico matematiche nascono impulsi vitali e stimoli prepotenti che trasportano la mente dal mondo della geometria a quello della fantasia, del pensiero libero. Dalla scienza all'arte.
Si chiamano, queste opere, visioni ottico dinamiche, rilievi cinetici, torsioni, nomi freddi come i materiali che le generano, Pvc e perspex, ma quando lo sguardo dello spettatore comincia a muoversi generano il dolce calore della poesia, il soffio tiepido dell'arte. La formula diventa sentimento.
Ma, dicevamo, Alberto Biasi non è solo «op», illusione visiva. Ci sono, nella sua produzione largamente rappresentata in mostra, le monocromie del «metro quadrato di pittura nera», ci sono gli assemblaggi, ci sono numerose provocazioni (i pani dell'improbabile fornaio Giovann Zorzon, la teca con il fiato d'artista, le sculture di luce) dal sapore beffardo e contestatore.
Ci sono multipli e sculture leggeri e delicati. C'è la capacità di cambiare media e linguaggi che fa di un bravo pittore un grande artista.
(da Gazzetta di Parma del 30 novembre 2003)